Le tutele del Codice Penale

I delitti puniti con reclusione riguardano generalmente la sicurezza sul lavoro e gli incidenti ad essa connessi. A questi bisogna aggiungere i reati di schiavitù e sfruttamento. Si è infatti tornato a parlare sempre più insistentemente di riduzione in schiavitù o condizioni analoghe ad essa (articoli 600, 601, 602 Codice Penale), e di sfruttamento del lavoro approfittando della situazione di bisogno (603 bis).

Articoli 600-601-602 Codice Penale

L’articolo 600 Codice Penale, riscritto nel 2003 con legge n. 228 e successivamente novellato, punisce con la reclusione da otto a venti anni chiunque riduce o mantiene in schiavitù o servitù una persona, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento.

Stessa pena è prevista per il reato di tratta di persone, di cui all’articolo 601 Codice Penale, così come sostituito con Decreto Legislativo n. 24 del 2014, e di acquisto e alienazione di schiavi, articolo 602 Codice Penale

 

Articolo 603 bis Codice Penale

L’articolo 603 bis Codice Penale, inserito con legge n. 148 del 2011, punisce il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, comminando nei confronti di chi svolge attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone lo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, e approfittando dello stato di bisogno o necessità del lavoratore, la pena della reclusione compresa in una cornice edittale fra cinque e otto anni.

Particolari difficoltà potrebbero sorgere in sede di giudizio, nel provare lo sfruttamento del lavoro. A tale riguardo soccorre il secondo comma. Il comma 2 dell’articolo 603 bis Codice Penale dovrebbe essere utilizzato anche per altre fattispecie riguardanti la tutela penale del lavoratore, in quanto fissa degli indici presuntivi dello sfruttamento.

Stabilisce, infatti, il comma in questione, che costituisce indice di sfruttamento:

  • sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o sproporzionato rispetto a quantità e qualità del lavoro svolto;
  • sistematica violazione della normativa sull’orario di lavoro, riposo settimanale e ferie;
  • violazione della normativa in materia di sicurezza e igiene;
  • sottoposizione del lavoratore a condizioni particolarmente degradanti e metodi di sorveglianza.

Costituisce, infine, aggravante il reclutamento di un numero di lavoratori superiore a tre, l’età non lavorativa dei soggetti e l’esporre i lavoratori a grave pericolo.

Articolo 43 Codice Penale

In caso di incidenti sul luogo di lavoro a cui consegua il ferimento o la morte del lavoratore, viene ritenuto responsabile il datore di lavoro, ove, come afferma l’articolo 43 Codice Penale, “l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

In tali casi verranno applicati rispettivamente l’articolo 590 Codice Penale lesioni personali colpose, e l’articolo 589 Codice Penale, omicidio colposo.

È quindi necessario che il datore adotti tutte quelle misure antinfortunistiche e le precauzioni previste dalle normative, per far sì che un evento nefasto sul luogo di lavoro rientri nel limite del c.d. ‘rischio consentito’, evitando che possa essere attribuito ad una sua negligenza, imprudenza o imperizia, che lo renda suscettibile di condanna fino a un massimo di anni cinque di reclusione.

Articoli 437 e 451 Codice Penale

Altra norma rilevante per la legislazione del lavoro è l’articolo 437 Codice Penale secondo cui chiunque omette di collocare impianti destinati a prevenire infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni, mentre se dal fatto deriva l’infortunio, la pena sarà compresa fra tre e dieci anni.

Il reato sembrerebbe comune, quindi non solo diretto all’imprenditore o ad altro responsabile. In realtà la norma sanziona due differenti condotte, una commissiva che può essere integrata da chiunque rimuova o danneggi dispositivi antinfortunistici, l’altra omissiva, rivolta solo a coloro che hanno l’obbligo giuridico di collocare tali dispositivi.

Se l’evento dell’infortunio non avviene si ha un classico reato a consumazione anticipata, se invece si verifica, la pena sarà considerevolmente più alta (reato aggravato dall’evento).

La condotta penalmente rilevante riguarda la messa in pericolo anche di un singolo lavoratore, giacché la pubblica incolumità, oggetto giuridico del reato, è un concetto astratto non legato ad un numero di soggetti specifico. Secondo la dottrina maggioritaria l’applicazione dell’articolo 437 Codice Penale non è limitata ai soli lavoratori dell’azienda, ma è estesa anche ai soggetti estranei, in quanto la ratio della norma è prevenire non gli infortuni del lavoratore ma gli infortuni sul lavoro.

Nell’ipotesi non aggravata, la pena nel massimo fino a cinque anni di reclusione permette all’autore del reato di cui all’articolo 437 Codice Penale di beneficiare, nel rispetto di tutti gli altri parametri previsti, dell’applicazione dell’articolo 131 bis, ossia dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Dello stesso tenore dell’articolo 437 è l’articolo 451 Codice Penale, con la differenza che l’omissione avvenga per colpa: in tal caso la pena sarà della reclusione fino ad un anno. In questa ipotesi, perciò, ove non vi fosse una recidiva, non vi sarebbe detenzione in carcere del soggetto attivo.

La consulenza tecnica di parte nei processi per reati in materia di lavoro

La Consulenza Tecnica di Parte può esser prestata sia per la parte indagata che per la parte civile. Le motivazioni che portano una parte indagata a nominare un CTP derivano dall’interesse a provare un fatto tecnico utile ai fini della propria difesa; pertanto la parte indagata può nominare dei soggetti dotati di competenza specifica nel settore in grado di presentare al giudice il loro parere.

Le attività del CTP sono “definite” dall’art. 230 del c.p.p. 

Il CTP può assistere al conferimento dell’incarico CT del PM e al CTU (Consulente Tecnico del Giudice) e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale. La partecipazione alle operazioni peritali è funzionale a proporre specifiche indagini e a formulare osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione. Quando i CTP sono nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati ad esaminare la persona, la cosa ed il luogo oggetto della perizia.

Attività del CTP

Ovviamente, operando il CTP nell’interesse dell’indagato, spesso ritiene opportuno non dare risalto a tutta una serie di elementi in grado di configurare profili di colpa per l’assistito. Nel grafico sottostante, si è rappresentata sinteticamente l’attività del CTP in un’indagine per infortunio sul lavoro.

Nell’espletamento dell’attività di CT per la parte indagata, sorgono tutta una serie di problemi che ne condizionano l’attività. Innanzi tutto, in molti casi, ci trova a dover espletare l’attività in tempi ridotti se non ridottissimi in quanto la parte indagata procede alla nomina con grande ritardo rispetto l’iter del procedimento.

Un altro problema ricorrente è legato al confronto con il CT del PM quando questo soggetto non è stato scelto con oculatezza; infatti, ci si può trovare di fronte ad un professionista che ha conoscenze limitate se non addirittura inesistenti riguardo lo specifico contesto in cui è maturato l’evento (ad esempio, è un esperto di macchine ma non si è mai occupato di cantieri edili).

Nei casi molto gravi e ad elevato impatto sulla pubblica opinione, spesso le cose si complicano, viste le pressioni che vengono esercitate su PM, CT ed enti di vigilanza.

Inoltre, sussistono sempre difficoltà con PM e GIP/GUP nello spiegare sia nella memoria che durante la deposizione in aula, gli aspetti tecnico-organizzativi che hanno caratterizzato la genesi dell’evento e dove i confini tra gli aspetti puramente tecnico-organizzativi e quelli puramente legali, diventano molto sfumati.

Poi, come CT dell’indagato, i problemi aumentano quando ci si trova ad assistere figure come il RSPP e il CSE che, ancora oggi - nonostante siano passati più di 20 anni dalla pubblicazione del D. Lgs. n° 626/1994 e del D. Lgs. n° 494/1996 che hanno introdotto queste figure - vengono percepite dagli enti di vigilanza, dal PM e dal suo consulente tecnico (che in genere tende a soddisfare i desiderata di colui che gli ha affidato l’incarico), come figure in grado di sopperire alle mancanze di altri soggetti come datori di lavoro, dirigenti e preposti delle imprese.