Inquadramento

La perizia e la consulenza tecnica sono i due mezzi di prova attraverso i quali fa ingresso nel processo penale il sapere tecnico, scientifico e artistico. Entrambe si sostanziano, alternativamente o cumulativamente, nello svolgimento di indagini, nell’acquisizione di dati o nell’effettuazione di valutazioni che richiedono per la loro natura particolari competenze tecniche, scientifiche o artistiche. 

Nel processo penale la perizia è regolamentata negli articoli da 220 a 232 e 508 c.p.p. La perizia si rivela essere un mezzo di prova per sua natura neutro, non classificabile  né “a carico”  né “a discarico”  dell’imputato,  sottratto  al potere dispositivo  delle parti e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice. Nel codice vigente viene utilizzata la formula "la perizia è ammessa..." (art. 220 c.p.p.), limitando la discrezionalità del giudice al solo accertamento del presupposto di ammissibilità  della indagine  peritale,  con la conseguenza  che la perizia  diviene obbligatoria  non appena  il giudice  accerti  la esistenza  di un determinato  tema di prova  per  il  quale  occorra  svolgere  indagini  o  acquisire  dati  o  valutazioni  che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. 

Poiché  la perizia  di parte  è una  semplice  allegazione  difensiva,  di carattere tecnico,  il  giudice  di  merito  può  disattenderne  le  conclusioni  senza  obbligo  di analizzarle  e  confutarle  e  senza,  perciò,  incorrere  in  vizio  di  motivazione,  non trattandosi di circostanze  acquisite alla causa attraverso prove orali o documentali; né egli è tenuto, anche a fronte di esplicita richiesta di parte, a disporre la consulenza d'ufficio, atteso che il  disporre l’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri ordinatori, sicché non è neppure necessaria  espressa pronunzia  sul punto, quando risulti, dal complesso della motivazione,  che lo stesso giudice ha ritenuto esaurienti i risultati conseguiti  con gli accertamenti  svolti. 

Pertanto, la nomina di un tecnico di fiducia costituisce esercizio del diritto costituzionale di difesa che non può tradursi in un obbligo, né in una preclusione temporale a prospettare critiche o a richiedere chiarimenti  rispetto  all'indagine  svolta  dal consulente  tecnico  di ufficio,  sicché  la parte può presentare osservazioni critiche alla relazione di quest'ultimo pur quando non abbia tempestivamente designato un proprio consulente. La  Corte  di  Cassazione   nella     sentenza    n.  18303  del 18.09.2015 ha ritenuto importante non sottovalutare il valore che può avere una  perizia  di  parte,  all’interno  di  una  causa  presso  il  tribunale.  La consulenza tecnica  di parte quando  ben argomentata  e dimostrata  tecnicamente,  può   essere condivisa dal Giudice,  facendole  così assumere  un valore determinante  ai fini della decisione finale. Il Giudice, infatti, potrebbe utilizzarla come argomento decisivo per emettere la propria sentenza, sia in modo esplicito, richiamandone alcune parti, sia in maniera implicita, semplicemente facendo proprie alcune conclusioni contenute nella perizia di parte. 

 

La consulenza tecnica di parte quale mezzo di prova ( artt. 187-243 c.p.p.)

 

Tra i mezzi di prova disciplinati dagli artt. 187-243, il codice di procedura penale prevede la perizia e la consulenza tecnica di parte, gli strumenti attraverso i quali il sapere tecnico-scientifico contribuisce nella ricerca della verità giudiziale.

La perizia può essere disposta sia in fase di incidente probatorio che in sede dibattimentale; nel primo caso, può essere invocata dal pubblico ministero o dalla persona sottoposta alle indagini ed è disposta dal giudice per le indagini preliminari quando le cose o i luoghi da esaminare siano soggetti a modificazione.

In dibattimento la perizia è disposta dal giudice, anche d’ufficio, quando occorre acquisire dati, informazioni o effettuare delle valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche.

Il consulente tecnico è nominato dal PM o dal difensore dell’indagato/imputato o delle parti private, affinché offra, anche sotto forma di memoria scritta, un proprio parere tecnico/scientifico rispetto ai temi di prova ammissibili e rilevanti.

Qualora il Gip o il giudice del dibattimento conferisca un incarico peritale, è nella facoltà delle parti di nominare un proprio consulente, in numero pari a quello dei periti, con facoltà di visionare gli atti ed estrarre copia, di partecipare alle udienze e alle operazioni peritali ed elaborare osservazioni o controdeduzioni alle conclusioni del perito, in tal modo assicurando il confronto e la dialettica processuale anche nella fase squisitamente tecnica di formazione della prova.

La perizia (artt. 220 e ss.c.p.p.) costituisce mezzo di prova “neutro” (essendone affidato l’espletamento ad un soggetto terzo, quindi imparziale, nominato dal giudice) ed essenzialmente discrezionale (essendo rimessa al giudice la valutazione sul requisito della sua “occorrenza”). Oltre che a richiesta di parte, può essere disposta anche d’ufficio.

La consulenza tecnica, invece, può esperirsi:

  • nell’ambito di una perizia già disposta, concedendo alle parti facoltà di nominare propri consulenti che possono partecipare alle operazioni peritali al fine di realizzare il contraddittorio nella formazione della prova (art. 225 c.p.p.);
  • “extra-perizia” quando la perizia non sia stata disposta e già dal momento delle indagini preliminari.

Attività dei consulenti di parte  (art. 230 c.p.p.)

I consulenti tecnici di parte possono assistere al conferimento dell’incarico al perito e poi allo svolgimento della perizia. Al momento del conferimento, i consulenti di parte   possono presentare al giudice osservazioni e riserve di cui dare atto nel verbale (art. 230 commi 1 c.p.p.). I consulenti di parte possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini, formulando osservazioni e riserve delle quali deve darsi atto nella relazione (art. 230 co. 2 c.p.p.). 

La disciplina della consulenza tecnica extra-perizia (art. 233 c.p.p.) va integrata con quella prevista dalla l. 7 dicembre 2000 n. 397 in tema di indagini difensive, nonché con quella riguardante l’attività di indagine del pubblico ministero (artt. 359 e 360 c.p.p.).Le parti hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici, in numero non superiore a due in relazione al singolo tema di indagine, anche quando la perizia non sia stata disposta e già nella fase delle indagini preliminari. La ratio dell’istituto è duplice : 

  • contribuire ad orientare consapevolmente la difesa nelle scelte di strategia processuale o di merito; 
  • portare a conoscenza del giudice circostanze che lo inducano a disporre perizia o a verificarne l’evenienza. 

Il giudice potrebbe anche ritenere gli elementi di prova desumibili dall’esame del consulente tecnico sufficienti ai fini della sua decisione e non disporre la perizia.

La norma di cui all’art. 233 c.p.p. va integrata con la disciplina introdotta dalla l. 7 dicembre 2000, n.397, la quale non solo ha prodotto l’inserimento dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 233 c.p.p. (prevedendo la possibilità per i consulenti di una parte privata di essere autorizzati dal giudice, su richiesta del difensore, ad esaminare le cose sequestrate, ad intervenire alle ispezioni e ad esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto) ma – sul più ampio tema delle indagini difensive – ha stabilito che il consulente tecnico di parte privata possa conferire con persone in grado di dare informazioni al fine di ricercare e individuare elementi di prova.

Qualora siano stati nominati consulenti tecnici e solo successivamente venga disposta la perizia, le parti possono confermare la nomina degli stessi consulenti, ovvero nominarne nuovi, fermo restando il limite numerico previsto dall’art. 225, comma 1, c.p.p.. In ogni caso ai consulenti scelti sono riconosciuti i diritti e le facoltà previste ex art. 230 c.p.p.

I pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di memoria scritta  possono essere letti in udienza e possono essere utilizzati ai fini della decisione, anche in mancanza del previo esame del consulente qualora le parti non ne abbiano contestato il contenuto ed il giudice abbia ritenuto superfluo di disporre una perizia.

L'immotivato rigetto dell'istanza di acquisizione di una memoria difensiva o l'omessa valutazione del suo contenuto determinano la nullità di ordine generale prevista dall'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto si impedisce all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie. (Cassazione penale n. 21018-2015).

Tuttavia ogni potere decisionale e valutativo compete unicamente al perito, perciò le parti, tramite i loro consulenti tecnici, potranno soltanto cercare di dimostrare al giudice l’erroneità o lacunosità della perizia.

L’esecuzione di una perizia presenta diversi vantaggi: riduce il rischio di errori favorendo il confronto tra esperti, economizza tempo e risorse, assicura che l’esperto nominato dal giudice non persegua gli interessi di alcuna parte. L’ammissione della perizia è disposta su richiesta di parte e solo eccezionalmente può essere disposta d’ufficio nel dibattimento.

Tutela del contraddittorio nelle operazioni peritali

La norma di cui all’art. 229 c.p.p. regola, per il caso di risposte non contestuali, il regime delle comunicazioni alle parti idoneo a garantire il contraddittorio dall’inizio delle operazioni peritali. L’indicazione da parte del perito, ai sensi dell’art. 229, co.1, c.p.p., del giorno, dell’ora e del luogo in cui inizierà le operazioni costituisce una garanzia tassativamente prevista; perciò, qualora intervengano variazioni rispetto alle dette indicazioni, il perito è tenuto a darne indicazione al difensore, senza che in contrario possa invocarsi il disposto di cui al secondo comma del citato art. 229, il quale, nel prevedere la semplice comunicazione, senza formalità, alle parti presenti, si riferisce alla eventuale “continuazione” delle operazioni peritali già iniziate e non può quindi trovare applicazione in caso di modifica unilaterale decisa dal perito prima che le operazioni abbiano inizio.

L’avviso dato al difensore dell’inizio o della prosecuzione delle operazioni peritali soddisfa le esigenze di tutela dell’assistenza dell’imputato ex art. 178 lett c) c.p.p.: conseguentemente, l’omessa analoga comunicazione al consulente di parte non comporta alcuna nullità. Al contrario si verte in ipotesi di nullità di ordine generale per lesione del diritto all’assistenza tecnica dell’imputato tutte le volte in cui il difensore che abbia svolto formale richiesta di assistere alle operazioni peritali sia stato escluso; e ciò indipendentemente o meno dalla presenza del consulente di parte.

Il consulente tecnico nel processo penale

La figura del consulente tecnico è stata oggetto di rilevanti modifiche apportate dalla l. n. 397/2000, in particolare attraverso il riconoscimento della necessità dell’ausilio di esperti in ogni fase del procedimento penale, ai fini di una concreta realizzazione del diritto di difesa. 

Tra gli ausiliari in grado di collaborare con il difensore allo svolgimento di investigazioni difensive, il consulente tecnico può intervenire qualora siano necessarie specifiche competenze, come indicato nell’art. 327-bis comma 3 del codice di procedura penale. Dal momento che gli ausiliari agiscono su delega del difensore, il quale è titolare della difesa e responsabile del loro operato, è necessario che l’incarico sia conferito al consulente tecnico dal legale in forma scritta, specificando l’oggetto dell’indagine. 

Al consulente tecnico incaricato di collaborare con il difensore allo svolgimento dell’attività investigativa vengono riconosciute - al pari degli altri ausiliari – le garanzie di libertà previste dall’art. 103 commi 2 e 5, ovverosia il divieto per l’accusa di procedere al sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa e quello relativo alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. 

Il difensore ha la facoltà di nominare i propri consulenti tecnici liberamente, senza necessariamente ricorrere a soggetti inseriti nell’albo dei periti, dal quale invece è tenuto ad attingere il pubblico ministero, ex art. 73 disp.att. del codice di rito. 

La perizia e la consulenza tecnica extraperitale

A differenza di quanto previsto nel codice del 1930, la consulenza tecnica può esplicarsi nell’arco di tutto il procedimento penale attraverso una pluralità di forme e funzioni, anche grazie all’introduzione di quella extraperitale, a compimento delle rinnovate caratteristiche – tendenzialmente accusatorie – del modello processuale attualmente delineato nel codice.

Ai sensi dell’art. 225 c.p.p., una volta disposta la perizia dal giudice, con ordinanza motivata contenente la sommaria enunciazione dei fatti, la nomina del perito e l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui dovrà essere svolta, le parti private ed il pubblico ministero hanno la facoltà di nominare i propri consulenti tecnici in numero non superiore - per ciascuna parte - a quello dei periti. 

I consulenti tecnici potranno partecipare all’intero svolgimento della perizia, fin dal momento dell’enunciazione dei quesiti, non solo formulando osservazioni e riserve, bensì  proponendo al perito specifiche indagini di cui dare atto in sede di relazione. 

Nell’ipotesi in cui il consulente tecnico sia nominato dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, oltre a visionare le relazioni del perito, egli potrà chiedere al giudice di esaminare la persona, la cosa ed il luogo oggetto della perizia, salvo che da ciò non derivi un ritardo nel compimento di altre attività processuali, con la facoltà di predisporre a sua volta una relazione.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 233 c.p.p., anche qualora non sia stata disposta alcuna perizia, le parti hanno la facoltà di nominare - in numero non superiore a due - propri consulenti tecnici, i quali potranno esporre al giudice il loro parere su singole questioni, eventualmente anche attraverso la presentazione di memorie. La norma in esame consente l’attuazione del diritto alla prova, conferendo alle parti la facoltà di avvalersi dell’ausilio di un tecnico e di sottoporre al giudice il suo contributo, anche quando quest’ultimo non abbia ritenuto necessario nominare un perito.

Qualora la perizia non venga disposta in seguito alla sua nomina, il consulente tecnico avrà la facoltà di svolgere di sua iniziativa le indagini e gli accertamenti consentitigli dall'oggettiva disponibilità di persone, cose o luoghi assunti come oggetto della consulenza. Le principali novità sul tema apportate dalla l. n. 397/2000 sono contenute nel comma 1-bis dell’art. 233 c.p.p., in virtù del quale, su richiesta del difensore, il giudice “può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire alle ispezioni e ad esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto”.

Le attività del consulente tecnico nelle indagini difensive

La prima tra le attività investigative che il difensore può dare incarico di svolgere al consulente tecnico consiste nel conferire con persone che siano in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’indagine (art. 391-bis comma 1 c.p.p.). Per sondare la rilevanza e la veridicità delle conoscenze della persona sentita, anche il consulente tecnico può procedere all’acquisizione di informazioni da fonti dichiarative mediante il colloquio non documentato: tuttavia, non rimanendo traccia dei risultati di tale informale interlocuzione, i relativi contenuti non potranno assumere valore probatorio. 

A differenza di quanto previsto per il colloquio non documentato, al consulente tecnico non è consentito acquisire notizie da persone informate sui fatti mediante dichiarazione scritta e assunzione documentata di informazioni, modalità di acquisizione riservate al difensore e al sostituto, in quanto potenzialmente dotate di valore probatorio. 

Il consulente tecnico ha, inoltre, la facoltà di effettuare l’accesso per visionare lo stato dei luoghi e delle cose, procedendo alla loro descrizione ovvero eseguendo rilievi tecnici: i risultati derivanti da tali atti investigativi potranno essere inseriti nel verbale redatto dallo stesso consulente. L’attività regolata dall’art. 391-sexies c.p.p., di carattere meramente ricognitivo, può estendersi anche al compimento di rilievi irripetibili aventi ad oggetto luoghi o cose soggette a modificazioni, da svolgersi tempestivamente al fine di evitare la dispersione degli elementi di prova. 

Le risultanze di tali atti confluiscono nel fascicolo del dibattimento: tuttavia, nel caso in cui si tratti di accertamenti ovvero di altri atti a cui il p.m. abbia assistito, in virtù di quanto previsto dall’art. 431 comma 1 c.p.p., i relativi verbali verranno inseriti sia nel fascicolo del difensore sia in quello del pubblico ministero. La normativa in esame consente che tali atti, data la loro rilevanza, restino a disposizione della parte pubblica, la quale non potrebbe diversamente disporne nella fase conclusiva delle indagini, non avendo libero accesso al contenuto del fascicolo del difensore.  

Il consulente tecnico di parte nel dibattimento

Con riferimento ai doveri che gravano sul consulente tecnico nel momento in cui depone in dibattimento, emerge un contrasto giurisprudenziale sull’obbligo di dire la verità ex art 497 comma 2 del codice. Infatti, l’osservanza di tale obbligo per il consulente potrebbe pregiudicare gli interessi della parte, potenzialmente in conflitto con quanto eventualmente esposto dall’esperto. 

A conferma dell’assenza dell’obbligo di dire la verità per il consulente tecnico di parte, depone la mancata previsione di dare lettura della dichiarazione prevista dall’articolo 226 c.p.p. per il perito: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”.

Al contrario, una giurisprudenza minoritaria ha sostenuto in passato che tra le disposizioni sull’esame dei testimoni applicabili al consulente tecnico rientrasse anche quella contenuta nell’art. 497 comma 2. Secondo tale orientamento, la responsabilità morale e giuridica derivante dall’obbligo di dire tutta la verità evidenzia la necessità per l’esperto di ispirarsi ai principi di lealtà e sincerità posti a fondamento della formazione della prova nel processo penale, dal momento che – nella maggior parte dei casi - l’apporto conoscitivo del consulente tecnico non si limita all’esposizione di valutazioni, bensì consiste nell’enunciazione di dati oggettivi. 

Oggetto di contrasto giurisprudenziale è anche il diritto del consulente tecnico di assistere alle udienze in qualità di ausiliario di parte: tale problematica, che rimanda al più generale quesito inerente alla vera natura del consulente tecnico in dibattimento, viene affrontata secondo diversi orientamenti giurisprudenziali. Il primo di questi sostiene l’impossibilità per l’esperto di assistere all’istruttoria dibattimentale prima del proprio esame, in virtù della sua natura assimilabile a quella di testimone. Secondo un diverso orientamento, il divieto in esame di non si estenderebbe anche al consulente tecnico, legittimato a partecipare all’intero iter processuale ex art. 501 c.p.p.: tale disposizione, infatti, prevede l’estensione ai consulenti tecnici delle norme che regolano l’esame testimoniale e non di quelle relative alla fase precedente. A sostegno di tale orientamento propende l’attribuzione al consulente tecnico della funzione di ausiliario di parte, anche in momenti differenti rispetto a quelli legati alla deposizione. In particolare, ciò emerge dall’impossibilità per i testimoni esaminati di comunicare anche con i consulenti tecnici nel corso dell’udienza, oltre che dalla facoltà riconosciuta alle parti di nominare, fuori dai casi di perizia, fino a due consulenti, i quali potranno proporre autonomamente pareri e memorie.